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 Filosofia Vedica (Vaisnava)
 Il sannyasi
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Andrea.m
Moderatore


Emilia Romagna


147 Messaggi

Inserito il - 08/10/2005 : 23:45:44  Mostra Profilo  Rispondi Quotando
Hare Krishna a tutti, in questo articolo verrà sviluppato l’argomento “il sannyasi”, grazie al quale potremo capire quali sono le sue caratteristiche, il suo comportamento e soprattutto quale è la sua rinuncia.

Sannyasi, definizione: colui che rinuncia ai frutti dell’azione per impegnarli nella coscienza di Krishna.

All’inizio del capitolo 3 della Bhagavad Gita, Arjuna non desidera impegnarsi nella battaglia fratricida di Kuruksetra, proprio perché prova disgusto nel pensare di dover combattere contro i suoi cugini, zii, e anche contro il suo maestro d'armi.

Così, egli cerca di evitare il combattimento adducendo come pretesto il buddhi-yoga, pensando erroneamente che questo significhi inazione.
Ma da discepolo sincero, presenta la situazione a Krishna, pregandoLo di indicargli la via migliore.

Così il Signore dissipa i suoi dubbi: “non è soltanto astenendosi dall’agire che ci si può liberare dalle conseguenze dell’azione, ne' la rinuncia e' di per se' sufficiente a raggiungere la perfezione”. (B.G. 3.4)

Colui che non si è gradualmente purificato, non può raggiungere la perfezione dell’esistenza entrando bruscamente nella quarta fase della vita umana, il sannyasa.
Secondo i filosofi empirici, sarebbe sufficiente indossare l’abito di sannyasi per essere uguali a Narayana: ma Krishna smentisce questa teoria.
Il sannyasi che non ha purificato il proprio cuore non può essere altro che causa di disturbo per la società.

“Tutti gli uomini sono inevitabilmente costretti ad agire secondo le tendenze acquisite sulla base delle influenze della natura materiale; perciò nessuno può astenersi dall’agire, nemmeno per un istante.” (B.G. 3.5)

L’anima è per natura sempre attiva e non può smettere di agire nemmeno per un momento. È meglio dunque che agisca nella coscienza di Krishna, perche' anche se la rifiutasse dovrebbe pur sempre agire, ma questa volta sotto l’influsso dell’energia illusoria. L’anima spirituale, per purificarsi, deve compiere i doveri delle scritture rivelate, ma se è direttamente impegnata nella coscienza di Krishna, che è la sua funzione naturale, tutto ciò che compie le e' di gran beneficio.

Questo è confermato che dallo Srimad Bhagavatam: “Chi adotta la coscienza di Krishna non perde niente e non deve temere nulla. [...] A che serve dunque seguire tutti i riti purificatori, se non si è coscienti di Krishna ?”. (S.B. 1.5.17)

Perciò prendere il sannyasi deve aiutare l’uomo a raggiungere il vero scopo dell’esistenza, cioè a diventare coscienti di Krishna.

“Colui che reprime i sensi, ma ha la mente ancora legata agli oggetti dei sensi, certamente si illude ed è considerato un simulatore.” (B.G. 3.6)

Chiunque si trovi nel mondo materiale, ha in se' il desiderio impuro di dominare la natura materiale, e chi rinuncia ad ogni attività prima di aver spazzato via questo desiderio, diventerà solo un falso spiritualista, un parassita della società.

“La semplice rinuncia all’attività, senza l’impegno nel servizio di devozione al Signore, non può rendere felici. Una persona riflessiva, impegnata nel sevizio devozionale, raggiunge invece il Signore Supremo senza indugio”. (B.G. 5.6)

Esistono due tipi di sannyasi, i sannyasi vaisnava e quelli mayavadi.
I sannyasi vaisnava praticano il servizio di devozione, provano una vera gioia quando compiono i loro doveri trascendentali, e sono sicuri di giungere a Dio.
Inoltre studiano la filosofia dello Srimad Bhagavatam solo attraverso il commento dei puri devoti del Signore: in questo modo le loro azioni non hanno nulla di materiale.

I sannyasi mayavadi invece studiano lo Srimad Bhagavatam attraverso il commento impersonalista di Sankaracarya, e presi dalle loro speculazioni mentali, non possono gustare il nettare del servizio di devozione.
Poiché i loro studi finiscono col diventare noiosi, si stancano di speculare sul Brahman e tornano ad immergersi nelle attività materiali di questo mondo.
Essi non traggono nessun vantaggio ne' dalla lettura delle interpretazioni impersonaliste delle scritture, ne' dalle loro aride speculazioni mentali.

In conclusione, il sannyasi vaisnava è ad un livello più elevato del sannyasi mayavadi.

“Colui che non è attaccato al frutto delle sue attività, e agisce con senso del dovere, è situato nell’ordine di rinuncia ed è il vero mistico, non colui che non accende il fuoco e non compie alcun dovere.” (B.G. 6.1)

La perfezione consiste dunque nell’agire nella coscienza di Krishna, e non nel cercare di godere dei frutti dell’azione. Agire in coscienza di Krishna è il dovere di tutti gli esseri, perché tutti sono parti integranti di Dio.
Come un organo non funziona per se stesso, ma per il corpo intero, così’ l’essere vivente non deve agire per la propria gratificazione, ma per quella del tutto completo. Questa è la regola dello yogi e del perfetto sannyasi.

Talvolta accade che un sannyasi (mayavadi) si creda a torto libero da ogni dovere materiale e cessi di compiere il sacrificio del fuoco, ma in realtà gli rimane ancora il desiderio egoistico di identificarsi col Brahman impersonale e fondersi in esso.

Il suo è il più elevato dei desideri materiali, ma comunque è motivato dall’egoismo.
Il sannyasi perfetto invece giudica il successo dei suoi atti in base alla soddisfazione di Krishna.


Grazie,

Andrea.m

(continua)

Andrea.m
Moderatore


Emilia Romagna


147 Messaggi

Inserito il - 11/10/2005 : 23:53:54  Mostra Profilo  Rispondi Quotando
Hare Krishna a tutti, continuiamo a parlare del "sannyasi" (parte 2).

Sri Caitanya Mahaprabu ci da' un esempio della vera rinuncia:
“O Signore onnipotente, non desidero ricchezze, ne' belle donne e neppure numerosi discepoli. Voglio soltanto servirTi con amore e devozione, vita dopo vita”. (Siksastaka 4)

La Bhagavad Gita ci illumina ancora: “O Arjuna, devi sapere che ciò che è definito rinuncia non è diverso dallo yoga, ossia dall’unione col Supremo; infatti non è possibile diventare uno yogi senza rinunciare al desiderio per la gratificazione dei sensi”. (B.G. 6.2)

Praticare il sannyasa significa conoscere la propria natura originale e agire di conseguenza.
L’essere vivente non è indipendente o separato da Dio, ma costituisce la sua energia marginale. Il fine del jnana e dello yoga e' automaticamente raggiunto con la coscienza di Krishna, infatti lo scopo di questi 2 metodi di realizzazione e' quello di rinunciare alla soddisfazione personale in favore della soddisfazione di Krishna.
La coscienza di Krishna dunque, conferisce il risultato di tutti gli yoga.

Srila Rupa Gosvami dice: "Colui che non ha attaccamenti materiali, ma allo stesso tempo impiega ogni cosa per il servizio di devozione a Krishna, trascende realmente ogni idea di possesso. Invece colui che rifiuta tutto, ignorando il legame che unisce ogni cosa al Signore, non è completo nella rinuncia".

Il sannyasi è superiore perfino al brahmana perché è in cima all’istituzione del vanashrama, quindi e' il maestro spirituale anche del brahmana.

Il sannyasi deve essere libero dalla paura.
Dovendo vivere da solo, senza alcun sostegno e senza la prospettiva di averlo in futuro, deve dipendere completamente dalla misericordia del Signore.
Chi si preoccupa ancora se sarà protetto una volta troncati i legami con la famiglia e la società, non dovrebbe accettare il sannyasa.
Il sannyasi deve avere fede nel fatto che Krishna si trovi dappertutto sottoforma di Paramatma localizzato, vede e sa tutto delle nostre intenzioni, e protegge l’anima completamente abbandonata a Lui.
Tale stato d’animo è indispensabile al sannyasi.

Il sannyasi deve inoltre purificare tutta la sua esistenza seguendo i vari principi stabiliti a questo fine.
Il più importante consiste nel divieto di intrattenere relazioni con una donna.
Ancora una volta Sri Caitanya Mahaprabu ci mostra la via da seguire; infatti i suoi discepoli di sesso femminile non potevano avvicinarsi a Lui nemmeno per offrirGli i loro omaggi, ma si dovevano prosternare ad una certa distanza.
Non bisogna fraintendere questo comportamento e vedervi una avversione per le donne, e' solo un dovere del sannyasi non intrattenere relazioni con loro.
Per provvedere alle sue necessita', il sannyasi deve elemosinare di porta in porta, ma non per mendicare, piuttosto per visitare le famiglie e risvegliarle alla coscienza di Krsna.

Sukadeva Gosvami aveva l’abitudine di restare in una casa solo il tempo di mungere una mucca.
Accettava poi i doni che gli offriva il padre di famiglia cosi' benedetto dalla provvidenza, e ne santificava la dimora con la sua presenza benefica: i sannyasi impegnati a predicare il messaggio di Dio dovrebbero comprendere, dal suo comportamento, che essi non devono intrattenere con le famiglie alcun rapporto, oltre quello necessario ad illuminarle spiritualmente, e non devono chiedere la carità se non al fine di santificare le loro dimore.

Chi ha abbracciato l’ordine di rinuncia non deve lasciarsi affascinare dal luccichio dei beni materiali che possiede l’uomo di famiglia e dipendere così da qualche materialista.
Questo sarebbe per lui più pericoloso che bere del veleno. (S.B. 1.4.8)

Generalmente e' proibito agli uomini del kali-yuga adottare li sannyasa: coloro che lo fanno ugualmente, indossandone le vesti solo per sfoggio di rinuncia, devono essere distinti dai veri sannyasi.
Tuttavia, ognuno può e deve fare voto di rinuncia ad ogni attività sociale di carattere temporale, e dedicarsi interamente al servizio di devozione.

Colui che fa voto di rinuncia alla vita familiare non deve imitare i parivrajakacarya come Narada o Sri Caitanya, e' sufficiente che si stabilisca in un luogo santo e consacri la sua vita ad ascoltare e ripetere costantemente il messaggio delle sacre scritture. (S.B. 1.6.13)

Brahmacari, grihasta, vanaprastha, sannyasi hanno tutti la stessa missione, cioè quella di realizzare il Supremo.
Perciò nessuno di questi gruppi offre meno vantaggi degli altri per quanto riguarda lo sviluppo della conoscenza spirituale.
La differenza è basata solamente sul grado di rinuncia dei rispettivi gruppi, e da questo punto di vista il sannyasi gode di una particolare stima grazie alla sua esemplare pratica di rinuncia. (S.B. 1.7.2)

I brahmana e i sannyasi sono gli unici degni di ricevere la carità dai capifamiglia. Infatti sono loro che durante tutta la nostra esistenza ci rendono il più alto servizio permettendoci di avanzare spiritualmente grazie ai loro insegnamenti. (S.B. 1.12.14)

Accettare il sannyasa dopo una vita di frustrazioni nell’universo materiale, può rappresentare un passo verso la realizzazione spirituale, ma la liberazione perfetta si raggiunge soltanto con l’abbandono totale a Dio. (S.B. 1.13.27)

Il sannyasi e' il maestro spirituale di tutti i varna ed ashrama, ed è dunque una persona con grandi responsabilità: cosi', se ha relazioni illecite con le donne, la sua pretesa di essere un sannyasi diventa subito nulla.
il vero sannyasi deve invece essere dotato di qualità e carattere esemplari, quindi deve essere libero dalle 4 forme di contaminazione: il gioco d’azzardo, l’intossicazione, il sesso illecito e l’abbattimento di animali. (S.B 1.17.41)


Grazie,

Andrea.m
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